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Falsa asseverazione di conformità edilizia: le responsabilità del tecnico progettista

05/08/2023

Le asseverazioni non veritiere di conformità delle opere agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio comunale integrano il reato falsità ideologica in certificati. Il tecnico è punibile anche se le opere asseverate non vengono realizzate

Ogni pratica edilizia, dal permesso di costruire alla SCIA, CILA e CILAS, richiede una serie di dichiarazioni da parte del richiedente, da sottoscrivere con formula di asseverazione. Ma cosa succede in caso di falsa asseverazione?

La semplificazione amministrativa ha portato, negli anni, alla progressiva sostituzione di molte di queste dichiarazioni con attestazioni rilasciate da tecnici abilitati, che certificano la conformità delle opere edilizie agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio comunale. Ciò consente di velocizzare la macchina burocratica ma, al contempo, nasconde tutta una serie di insidie e carica di responsabilità i tecnici abilitati, che attestano la conformità edilizia sotto responsabilità penale ex art. 481 del codice civile. In pratica, la formula di asseverazione resa dal tecnico serve per “certificare” il buon esito del controllo preventivo effettuato da egli stesso. Il tecnico, per conto del cittadino, effettua le verifiche di controllo che spettano anche alla P.A.

Nelle pratiche edilizie, il tecnico abilitato (il progettista) dichiara la sussistenza di molti requisiti previsti dalla normativa, che si possono sintetizzare in due principali categorie:

  • stato dei luoghi di fatto e di diritto ante opera (ad esempio, lo stato Legittimo);
  • conformità dell’intervento edilizio rispetto al DPR n. 380 del 2001 e nei confronti degli strumenti urbanistici e regolamenti edilizi locali.

Abusi edilizi e sanatoria

Nel caso in cui sia presente un abuso è necessario chiedere la sanatoria edilizia e successivamente la doppia conformità. Il tecnico abilitato deve quindi verificare la conformità dell’immobile e indicare i dati nell’asseverazione.

Ricordiamo che l’accesso alle agevolazioni previste dalla normativa vigente (ad esempio, al Superbonus 110%) è negato per tutti gli abusi edilizi non sanati e per le strutture che presentano una discordanza tra progetto e costruito superiore al 2%.

Pertanto, se è presente un abuso o una difformità, è necessario richiedere un certificato di conformità urbanistica. In pratica deve essere documentata la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’immobile e il titolo edilizio con cui è stato realizzato.

La normativa

La norma di riferimento è l’art. 29, comma 3, D.P.R. 380/2001 (in materia di responsabilità per le opere soggette a SCIA), ai sensi del quale il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la segnalazione certificata di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la segnalazione, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.

Falsa asseverazione e responsabilità penale

L’asseverazione viene resa da un tecnico abilitato sotto responsabilità penale ex articolo 481 del codice penale. Ai sensi di tale articolo, “chiunque nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 51 a 516 euro”.

La falsa asseverazione: cosa dice la giurisprudenza?

Di recente, al Corte di Cassazione (sentenza n, 41814 del 7 novembre 2022) ha affermato che il tecnico che, in veste di progettista, asseveri falsamente una conformità delle opere agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio comunale, è responsabile del reato di falsità ideologica in certificati di cui al citato art. 481 del codice penale.

I giudici di legittimità hanno altresì precisato che il reato di falsità ideologia ha natura istantanea e, pertanto, il tecnico progettista che assevera il falso è punibile anche nel caso in cui le opere asseverate, di fatto, non vengano poi realizzate.

La vicenda decisa dalla suprema Corte riguarda un tecnico incaricato di avviare il procedimento amministrativo finalizzato alla sanatoria di alcuni interventi edilizi, presentata ai sensi dell’art. 37 del DPR n. 380/2001 presso i competenti uffici comunali, il quale attestava falsamente, nella relazione tecnica, che si trattava di opere di natura e di consistenza tali da non incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie e che, quindi, avrebbero potuto essere autorizzate ai sensi dell’art. 22, comma 2, DPR n. 380 del 2001.

In realtà, gli interventi realizzati e da sanare avevano comportato un aumento di superfici edificabili e volumetrie sia al piani terra, sia al piano sottotetto a seguito della modifica dei solai interni ai vari piani e della realizzazione di soppalchi. Tutti interventi che avrebbero dovuto essere autorizzate unicamente con permesso di costruire (art. 60 del Regolamento edilizio comunale).

Per tali motivi, il tecnico è stato condannato alla pena per il reato di cui all’articolo 481 del codice penale (falsità ideologica in certificati), in relazione all’articolo 29, comma 3, de3l DPR n. 380 del 2001.

Sentenza di condanna confermata dalla Cassazione con la sentenza in esame.

Il tecnico si era difeso sostenendo, tra l’altro, che le opere previste nella SCIA potevano essere richieste in alternativa al permesso di costruire, in quanto ricadenti nella previsione dell’articolo 22 del T.U. Edilizia, vigente all’epoca dei fatti. In ogni caso – sostiene il legale del tecnico – non vi è stato alcun aumento di superficie edificabili, trattandosi di superfici interne al fabbricato. L’unica variazione era costituita dall’abbassamento del piano fondale di alcuni locali del piano terra, intervento inserito nelle opere realizzate e, quindi, oggetto di sanatoria.

Si legge nella sentenza che all’imputato – in veste di progettista – è contestato di avere, nella relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria ex art. 37 DPR n. 380/2001, “asseverato una conformità delle opere agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio comunale non corrispondente al vero, in quanto a seguito della modifica dei solai interni ai vari piani e della realizzazione di soppalchi si determinava un aumento di superficie edificabile e di volumetria e, proprio su tale condotta”. Proprio su tale condotta, affermano i giudici – si è correttamente svolto l’accertamento di fatti e la conseguente condanna.

A nulla rileva che le opere in questione, dopo la presentazione della SCIA, non furono realizzate. Sul punto, la Corte di Cassazione – riprendendo le conclusioni a cui era già giunto il tribunale in primo grado – precisa che l’atto in esame ha natura istantanea e, inoltre, ha “natura di certificato ex art. 481 c.p. per quel che riguarda non solo la descrizione dello stato dei luoghi e la ricognizione di eventuali vincoli esistenti sull’area oggetto dell’intervento edilizio, ma anche, e soprattutto, la rappresentazione delle opere che si intendono realizzare e loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio”.

Bonus edilizi, scadenze e responsabilità professionali

Tornando sul tema del Superbonus e Bonus edilizi, particolare importanza assumono i termini di scadenza che, giorno dopo giorno, sono susseguite dall’introduzione delle agevolazioni fiscal. Un reticolo di scadenze, frutto di modifiche e proroghe legislative non sempre di facile interpretazione, che possono mettere in difficoltà i tecnici asseveratori ed esporli a responsabilità professionali.

Pensiamo, ad esempio, all’ipotesi, tutt’altro che remota, in cui un cliente “dormiente” dovesse svegliarsi a ridosso di una delle scadenze facendo forza su un incarico conferito in precedenza. Il professionista che non fosse riuscito ad adempiere l’incarico, potrebbe essere chiamato a rispondere di eventuali danni?

Il contratto professionale

In questi casi, assume rilievo il contratto stipulato tra cliente e professionista. È importante infatti che le prestazioni richieste vengano specificate “nero su bianco”. Cosa che non sempre avviene.

Il rapporto tra professionista e committente viene ricondotto all’art. 2229 c.c., ovvero all’esercizio delle professioni intellettuali. Sarà il cliente a dovere dimostrare che l’incarico conferito possa configurare l’obbligo di procedere con il deposito dei documenti, verificando l’esistenza di una clausola (o comunque di un impegno scritto, ad esempio una mail) relativa all’esecuzione di prestazioni legate alle scadenze dei bonus fiscali. In tal caso, qualora ad esempio la data di scadenza dovesse essere anticipata come avvenuto con le ultime modifiche normative, al professionista che non la rispetta potrebbe essere contestato un inadempimento contrattuale.

Ma anche laddove il cliente dovesse dimostrare l’esistenza di tale assunto, occorrerà poi dare prova puntuale del danno subito. È importante ricordare che quando si agisce in giudizio il danno deve essere provato in maniera specifica e supportato da documenti.

Da ciò si comprende l’importanza della “contrattualizzazione” della prestazione professionale a tutela di entrambi i contraenti, cliente e professionista. Sarà fondamentale avere descritto con precisione nel contratto le prestazioni, le scadenze e gli obiettivi oggetto dell’incarico conferito.

Obbligazione di mezzi o di risultato

In materia, occorre ricordare che le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 28/07/2005, n. 15781) hanno stabilito che la responsabilità contrattuale del progettista e del direttore dei lavori “è regolata in base alle norme generali sull’inadempimento dei contratti e, per quanto siano applicabili, dalle norme sulla prestazione d’opera e sulle professioni intellettuali”, affermando che “l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria o di architettura, pur avendo per oggetto una prestazione d’opera intellettuale, costituisce un’obbligazione di risultato” (Cass. civ., Sez. Unite, 28/07/2005, n. 15781).

Quindi, secondo questa importante sentenza, i professionisti tecnici sono tenuti, nei limiti delle proprie competenze, a “garantire” al cliente il raggiungimento del risultato. Occorre dire, peraltro, che i giudici merito continuano spesso ad inquadrare la prestazione dei progettisti nella categoria delle obbligazioni di mezzi, ponendo l’attenzione non tanto sul risultato, quanto piuttosto sulla diligenza nell’esecuzione della prestazione, che il cliente può e deve pretendere dal professionista.

Ultima modifica: 5 Agosto 2023 alle 18:01

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